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10 dicembre 2010

Umberto Eco - Il Nome della rosa

Il Nome della rosa, inutile dirlo, è un grande classico della letteratura italiana del quale tutto e forse anche troppo è stato fatto, ripreso o scritto. L'ho sempre considerato un libro impegnato ed impegnativo, non tanto per la mole in fin dei conti tutt'altro che esagerata, quanto per la profondità dei temi tracciati all'interno del libro stesso in un'abbazia di monaci corrotti e lussuriosi come il mondo esterno. Quel luogo sacro infatti può essere benissimo ricondotto alla generalità dell'essere umano, all'essenza del suo spirito così come della sua carne. Ciò che accade lì è ciò che accade nel mondo.
La lettura è scorrevole in quasi tutti i punti e la suspance che crea la lettura di un libro giallo non è certo paragonabile ad altre - anche per chi, come me, non ha mai amato i romanzi in genere. Le ambientazioni sono descritte con minuziosità, così come i monaci e le loro azioni si concatenano fra di loro in modo continuo ed avvincente.
Ma parlare de Il Nome della rosa solamente come di un romanzo giallo non gli rende completamente merito. Un lettore non attaccato esclusivamente alla trama trova in queste pagine pane per i suoi denti e sono queste, a mio parere, le parti più interessanti: tutto ciò che esula un po' dalla parte narrativa è un riempimento essenziale e stupefacente che dona al libro colore, realtà e anche il mistero di cui si nutre un giallo.
La descrizione dei mostri raffigurati sul portone che attira l'attenzione di Adso; la curiosità per le sette ereticali e dolciniane in primis che Eco spiega al lettore con empatia e senza lesinarne l'attesa; la situazione ecclesiastica medievale e l'acerrima contesa fra potere temporale e spirituale, la cui conclusione non potrà manifestarsi, come detto, per la sovrapposizione dei due poteri; il labirinto stesso con la sua particolare cartina geografica.
Durante tutta la lettura una cosa appare chiara: l'essere dentro ad un libro, che poi sarebbe la cosa che più interessava a Guglielmo da Baskerville. "Un libro che parla di libri" come suggerisce lo stesso scrittore, un viaggio attraverso la conoscenza, una lotta fra questa e la mera ripetizione che si concluderà in modo tragico, come tragica rimarrà la distanza che apparentemente separa questi due mondi.



«E i re sono i mercanti. E la loro arma è il danaro. Il danaro ha una funzione, in Italia, diversa che nel tuo paese, o nel mio. Dappertutto circola danaro, ma gran parte della vita è ancora dominata e regolata dallo scambio di beni, polli o covoni di grano, o un falcetto, o un carro, e il danaro serve a procurarsi questi beni. Avrei notato che nelle città italiane, invece, i beni servono a procurarsi danaro. E anche i preti, e i vescovi, e persino gli ordini religiosi, devono fare i conti col danaro.»

«I libri non sono fatti per crederci, ma per essere sottoposti a indagine. Di fronte a un libro non dobbiamo chiederci cosa dica ma cosa vuole dire, idea che i vecchi commentatori dei libri sacri ebbero chiarissima.»

«"Era la più grande biblioteca della cristianità," disse Guglielmo. "Ora," aggiunse, "l'Anticristo è veramente vicino perchè nessuna sapienza gli farà più da barriera. D'altra parte ne abbiamo visto il volto questa notte."»

«In quel viso devastato dall'odio per la filosofia, ho visto per la prima volta il ritratto dell'Anticristo, che non viene dalla tribù di Giuda come vogliono i suoi annunciatori, né da un paese lontano. L'Anticristo può nascere dalla stessa pietà, all'eccessivo amor di Dio o della verità, come l'eretico nasce dal santo e l'indemoniato dal veggente. Temi, Adso, i profeti e coloro disposti a morire per la verità, ché di solito fan morire moltissimo con loro, spesso prima di loro, talvolta al posto loro.»

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